Il disagio aspetti biopsicosociali. Una riflesisone bioetica

Raffaele Sinno.



Per disagio si deve intendere una condizione sgradevole, dovuta a diversi fattori morali, economici, di salute, in cui il soggetto prova un senso di dis-adattamento, d’incapacità a svolgere un ruolo codificato, e di mancanza di benessere biopsicofisico. In generale è una situazione di difficoltà relazionale, per cui un individuo elabora input errati, e non riesce in una soddisfacente comunicazione con sé stresso e con gli altri. In tale circostanza la dis-comunicazione genera diversi blocchi espressivi-cognitivi-comportamentali, che si stratificano nella narrazione e nella crescita di una personalità. Per questo motivo la classica divisione tra disagio evolutivo ed elaborativo rappresenta una suddivisione piuttosto formale che reale, in effetti, una condizione di non adattamento trova ragioni nella difficoltà delle integrazioni tra bisogni e necessità in una particolare età evolutiva del soggetto, in ogni caso ciò dipende dalle individuali capacità di progettazione di ciò che sono gli stimoli endogeni ed esogeni. Da queste premesse sorge nella riflessione etica una domanda fondamentale: il disagio deve essere sempre considerato un fattore di disequilibrio tra diverse richieste, oppure rappresenta esso stesso un tentativo di "riordinare un flusso caotico informativo con risposte non conformi ai modelli socio evolutivi"?
Tale questione fa emergere il confronto tra bisogni primari e quelli definiti secondari, ossia tra ciò che si deve considerare necessario per lo sviluppo, vale a dire di natura materiale, e quelli secondari di tipo interiore, di livello psichico e spirituale. In tale tradizionale suddivisione, la salute si deve considerare un bisogno primario, mentre sono secondari quelli culturali e sociali.
La riflessione bioetica ha disarticolato questo piano, poiché non sempre si considerano i bisogni dell’affluent society (società opulenta) quali beni di opportunità o di eccedenza. La domanda sociale, che un individuo richiede alle istituzioni, è profondamente mutata: non chiede solo guarigione dal disease, dalla patologia psico-organica, esige una soddisfazione di tipo globale, una risposta ai bisogni biopsicofisico relazionali. Da queste incongruenze, e incapacità d’integrazioni, nascono i principali scontri nell’ambito della gestione biopolitica della salute, e in generale un’evidente stata di conflitto sociale. Tra le necessità e i bisogni, rifletteva il filosofo E. Lévinas, si è aperta un’incomprensione che è alla base dell’erronea gestione politica della società, poiché non si possono ottenere risultati nel risolvere i problemi degli individui, con la semplice applicazione di modelli statistici o applicativi numerici: "La gestione politica deve sempre essere controllata dall’etica. Questa rappresenta una forma di socialità che rende giustizia al segreto non di un’interiorità inaccessibile, ma della responsabilità che è principio assoluto, quella responsabilità dell’altro che mi accomuna".

Il disagio non deve per questa circolarità di problemi, individuale, sociale, personale, essere banalizzato. Non è opportuno ancorarsi a delle visioni limitate, utilizzando schematismi categoriali ossia: il disagio adolescenziale, giovanile, quello socio ambientale da situazioni economiche disagiate, rispettivamente del paziente e dell’operatore sanitario. Tutti questi modi di essere sono conseguenti a complesse evoluzioni sociali, e spesso risentono delle incapacità di tener in equilibrio libertà individuali, e condizionamenti collettivi, compiti da realizzare e le relative soddisfazioni personali. Il vero rischio non è quello di una focalizzazione dei temi del disagio, è al contrario ritenere l’intera condizione dell’umano inevitabilmente esposta a una vulnerabilità priva di significato, riducendo la capacità critica umana, che è elemento che ci contraddistingue in termini di paragone rispetto a qualsiasi altro vivente. Il tema del disagio in questo senso rappresenta un termine di frontiera, e d’impegno, per una ricerca dei valori da difendere e condividere, il passaggio dall’utilitarismo dell’azione, alla condivisione dei programmi umani. Per ovviare a questa condizione che sostiene la crisi contemporanea della società postmoderna, in tutte le sue espressioni, è fondamentale che siano riconosciuti i diritti di accesso a beni proporzionati, una giusta condivisione degli oneri  sociali, motivando la cultura a generare modelli di inclusione dei bisogni tra individui, facendo emergere una competitività amicale, una circolarità ermeneutica delle prospettive, una speranza intergenerazionale, in fondo la realizzazione di un programma bioetico globale.
In conclusione per combattere la solitudine del cittadino globale, smarrito nei suoi disagi esistenziali o sociali, è opportuno riconoscere una dignità comune ad ogni persona, perché è dall’Amore del Creatore che bisogna ricercare le buone norme della vita sociale.