Raffaele Sinno.
La normale prassi medica prevede, per essere esplicata, l’acquisizione di un consenso che sia informato, esplicito, libero, autentico, personale, immune da vizi. Tale presupposto etico -
Le vicende della medicina contemporanea sono segnate da incomprensioni reciproche, fallimenti della programmazione etica, obiettivi che si adattano con superficialità alle contingenze, un biodiritto incapace di tracciare situazioni chiare e nette, poiché tutto scivola nel pendio della variabilità o nella catalogazione di casi di volta in volta oppositivi. A tale riguardo è rappresentativa la questione del ruolo dell’amministratore di sostegno nei casi in cui il paziente non è abilitato a decidere, figura introdotta nell’ordinamento normativo con la legge del 9 gennaio 2004 n.6, oppure la situazione dello stato di necessità. In molte situazioni cliniche, in effetti, bisogna intervenire rapidamente con un paziente impossibilitato a prendere una decisione libera, autonoma, consapevole. Apparentemente si tratta di una situazione di facile risoluzione: si ricorre, là dove possibile, alla dichiarazione del tutore legale, e nel caso di necessità s’interviene direttamente in ragione della prognosi quoad vitam del paziente. Tale logica non sempre corrisponde a un’equilibrata valutazione delle situazioni, e l’imminente pericolo non configura, di fatto, un silenzio comunicativo, perché spesso l’urgenza si commista all’emergenza, del resto la temporalità non può assurgere a unico parametro di riferimento. A conferma di ciò diverse sentenze hanno evidenziato questo dato, come quella del Tribunale di Palermo del 2000, dove si rigettava la decisione di sottoporre un paziente con demenza senile a un delicatissimo intervento ortopedico, con decisione intrapresa direttamente dal tutore legale, mentre si affermava che deve essere il medico "a valutare in scienza e coscienza l’idonea terapia, tenendo in considerazione un equilibrio tra benefici e rischi, nell’ottica che ogni atto sanitario è obbligato e finalizzato a un’opera professionale".
Per ovviare alla crescente diffidenza degli operatori professionali e alla corrispettiva sfiducia nel paziente, è fondamentale compiere un consenso che testimoni attenzione alle necessità, un confronto propositivo dove l’autorevolezza non escluda l’ascolto, la possibilità di cooperare per scelte ragionevoli e realizzabili, un superare le logiche dei tempi, nella consapevolezza che la sofferenza e il dolore si combattano nel sorreggersi a vicenda, per edificare una medicina condivisibile, opportuna, coincidente.