Recensione vita ospedaliera

Quale Cultura per il fine vita?  EDB 2011.
                   pref. Card. Dionigi Tettamanzi
                                         
                             Miguel Moreno


Il testo Quale cultura per il fine vita raccoglie gli atti di un convegno promosso dalla Sezione di Bioetica del Servizio per la Pastorale della Salute dell’Arcidiocesi di Milano, svoltosi per riflettere sulle coordinate antropologiche, sociali, etiche, filosofiche, scientifiche e pastorali, dei temi trattati dalla promulgazione trent’anni orsono, nel maggio 1980, del documento Iura et Bona della Congregazione della Dottrina della Fede. E’ noto che tale documento ha segnato il dibattito sui delicati temi etici di fine vita, rappresentando un costante riferimento nel confronto culturale contemporaneo. La capacità di coniugare aspetti convergenti della vita umana, nella sua fase finale, è prospettata secondo un approccio non riduttivo, presentando l’evento finale come non isolato, o in contraddizione, con un percorso umano capace di interagire con innumerevoli interrogativi che si pongono di fronte. Nel testo emerge una capacità di sintesi tra le diverse riflessioni degli esperti i quali, pur rilevando che il clima culturale in questi decenni è profondamente mutato, evidenziano che le scelte etiche di fine vita devono conseguire precisi indirizzi etici, evitando facili riduzionismi.  Le complessità delle posizioni attuali dipendono dal fatto che il morire, o il buon morire, resta circoscritto in un dibattito tecno-scientifico, mentre il valore della persona umana è sminuito tra divieti contrapposti, poiché si è smarrito il senso del morire, mentre è necessario riscoprire e rilanciare una pedagogia della vita, non della morte, concetto espresso nella prefazione dal card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano (Cf. p 7).
I temi di fine vita pongono alle coscienze degli interrogativi di estrema complessità, poiché affiorano le nostre contraddizioni di fronte alla realtà della vita, alla sua dignità, al rapporto da attribuire agli altri, al silenzio dell’inevitabilità della nostra finitudine, ai limiti con i quali scienza e tecnica devono costantemente interagire. Per evitare le nudità della morte, si ricorre a facili percorsi: si muore soli, confidando nella tecnica che non interroga, evitando di dare fastidio, poiché la vita è oramai letta, narrata, e interpretata, nella sua esclusiva visione edonistica.
La sofferenza diviene scandalo, la morte orpello inutile. Questa errata visione degli eventi di fine vita si stratifica in una cultura eutanasica che non nasconde, come nel passato, i suoi obiettivi reali: indipendenza in ogni caso, predeterminazione senza ragioni, diritto alla morte come coronamento della totale autonomia. Tale posizione è stata ben espressa dalla riflessione di P. Benedetto XVI che nella Caritas in veritate osserva: " ….  Va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta. Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana. Queste pratiche, a loro volta, sono destinate ad alimentare una concezione materiale e meccanicistica della vita umana". Le diverse questioni dell’abbandono terapeutico o dell’accanimento, della proporzionalità e futilità delle cure, dei livelli di assistenza nei pazienti in stato vegetativo o in quelli minimi di coscienza, sono aspetti ben indagati nel corso del Convegno, e presentati alla luce delle attuali complessità, con riferimenti costanti alle dichiarazioni della Iura et bona.
Si osserva una circolarità d’intenti: ossia indagare le differenze con una riflessione critica, in cui le variabilità delle situazioni riguardanti lo stato psico-fisico della persona non possono diventare il lasciapassare per l’arbitrio personale. (Cf. p 73). Si riportano, in tal modo, le coscienze di tutti a un appello di responsabilità nei confronti di un momento fondamentale della vita, perché nel suo stadio finale è buona se può contare sulla presenza benefica, competente e amorevole del prossimo. (Cf. p 70).
In ragione di ciò, è compito di ogni credente evitare che il percorso della vita si spersonalizzi nel suo momento di massima relazione: l’incontro con Padre Creatore della Vita, ciò consente di saper discernere tra il lecito e il futile, l’amore e la solitudine, un abbandono amorevole e uno sproporzionato accanimento, poiché: "E’ molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana contro un tecnicismo che diviene abusivo. Di fatto alcuni parlano di diritto alla morte che non prefigura il diritto di morire come si vuole o procurarsi la morire, ma di morire in serenità con dignità umana e cristiana".