Sedazione terminale

Raffaele Sinno.



La recente dichiarazione dell’Associazione dei medici francesi sulla possibilità di eseguire la sedazione terminale ha focalizzato l’attenzione su di un argomento bioetico complesso, riavviando un dibattito mai sopito su tale questione. Per sedazione terminale si deve intendere la "riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita della coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo, altrimenti intollerabile per il paziente, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che è di fatto refrattario a qualsiasi intervento compreso quello palliativista". Nel documento della Società Italiana delle Cure Palliative (SICP), emanato a riguardo nel 2007, tale definizione è molto delimitata, poiché a ben ragione non tiene conto di diverse esigenze e situazioni, inoltre in tale documento si distinguono due situazioni fondamentali. La prima è da riferirsi alla sedazione in generale, pratica utilizzata per ridurre lo stato di coscienza quando uno o più sintomi sono refrattari alle cure palliative, mentre la seconda situazione viene definita S. I. L. D. (Palliative Sedation in the last day), ossia l’utilizzo di una sedazione praticata quando la morte è attesa entro un periodo compreso entro pochi giorni, con una valutazione che dovrebbe sempre essere eseguita dal medico in collaborazione con l’equipe pallaitivista.
Le relative questioni bioetiche non attengono solo all’utilizzo di quale tipo di definizione si voglia utilizzare, piuttosto su tre questioni fondamentali:

  •  Quale valore attribuire alla richiesta del paziente quando la sua coscienza è integra;

  •  La valutazione temporale in relazione a tale richiesta, e alla reale situazione clinica prognostica;

  • Il grado di sofferenza comunque da evitare;

  •  La possibilità di uno scivolamento verso forme di eutanasia, non più un giusto accompagnamento alla morte.

L’utilizzo della sedazione terminale trova un ampio ventaglio di applicazioni, e in letteratura sono riportate diverse casistiche nelle quali emerge un dato essenziale: tale richiesta risente fortemente delle diversità culturali, e delle disposizioni in precedenza adottate e concordate dal soggetto con l’equipe palliativista. Nel 2001, in Danimarca, si è stimato che la sedazione terminale ha rappresentato il 2,5 % di tutti i decessi, mentre nel 2006 nel Regno Unito si è raggiunto un notevole dato, quello del 16,5 %.
Per questo motivo è opportuno non utilizzare il termine sedazione terminale, perché ciò indurrebbe una confusione, con uno scivolamento verso forme di eutanasia indiretta. Per quello che concerne la questione della richiesta da parte del soggetto, essa deve poter essere sempre interpretata e valutata, mai semplicemente applicata. Del resto, le motivazioni di tale scelta, sebbene ripetute, potrebbero non essere conformi all’effettivo stato del paziente. Utilizzare la sedazione con molto anticipo provocherebbe di fatti la perdita del ruolo delle cure palliative, che invece hanno il compito di sostenere, aiutare, e accompagnare una persona in questo cammino della sua vita e non certo abbreviare, o rendere inutile il senso della fase finale di una persona. Su tale questione vi è davvero un acceso dibattito bioetico, poiché se percentualmente non vi è nessuna differenza in termini di sopravvivenza tra i pazienti che ricevono la sedazione terminale e quelli che invece sono semplicemente accompagnati con le normali procedure palliativiste, l’uso improprio di questa metodica condurrebbe a: "Uno strizzare l’occhio all’eutanasia da parte della società."
Per evitare dunque facili confusioni, e difendere la dignità della persona umana nella sua fase di vita terminale, è fondamentale che la sedazione rimanga palliativa, ossia costantemente rivolta a compiere il suo compito: ridurre l’angoscia e la sofferenza insopportabile, non certo abbreviare la vita, né tantomeno privarla di senso.
In conclusione è doveroso riaffermare che nessun atto eutanasico è accettabile, né condivisibile, e nella sedazione palliativa dovranno essere affermati tre punti irrinunciabili:

  • Si dovrà rispettare la correttezza della decisione (consenso informato e proporzionalità terapeutica);

  • Correttezza tecnica, in ordine alla giusta somministrazione di farmaci e dosi;

  • Correttezza relazionale, ossia la capacità di condividere la drammaticità della scelta del paziente, se possibile, con i familiari.